domenica 15 luglio 2018

15 luglio 2018

Terra in vista! verrebbe da urlare dalla coffa di maestra. Il voto comunale è solamente un ombra per adesso, il margine sfuocato di una nuova occasione all'orizzonte. Oppure inganno della lunga navigazione? Le vele usurate che sbattono nella bonaccia; lente, cadenti sulle sartie, alla ricerca di una anelito di vento che le sospinga ancora una volta. Vestono gli alberi su cui sono issate da troppo tempo; bramano brezza perché loro destino, neanché certe di potergli nuovamente resistere. La barca incede verso la meta per clemenza delle correnti. Il legno, in alcuni punti, intriso, brumoso, mantiene la sua resistenza per la pressione dovuta all'osmosi; e lascia penetrare un rivolo d'acqua come monito di attenzione sempre dovuta in mare.
L'equipaggio ondeggia e lamenta con lo stesso ritmo di questa stanca sorella maggiore che gli accudisce in un ambiente per sua natura loro ostile. Fedele quanto l'arte dei suoi costruttori, e delle materie per ciò usate, restituisce in un atto di reciproca necessità. Non sarà certo Lei venir meno. Resisterà ad ogni intemperanza del tempo e dei flutti perché nella sua costituzione. Ogni parte concerta con tutte le altre un complesso necessario all'intesa della sua stessa esistenza, è un destino assegnato. Ma l'equipaggio..., i compiti, la gerarchia, la disciplina, nessuna democrazia. Quando navighiamo diviene semplice sopravvivenza. I ruoli a bordo sono eticamente semplici, quasi aritmetici. Le intuizioni spettano al comando, e quando sbaglia i cocci sono suoi.
Che lunga metafora intrisa di vena romantica. Tutto per spiegare un semplice bisogno.
Ribaltando questa prolusione al prossimo scontro comunale del 2019 bisogna considerarne la parte più importante e nascosta. Il problema è la visione generale con cui vogliamo governare un luogo e la necessaria responsabilità di un tale atto. Chi avesse voglia di intuirlo sa che le promesse e i buoni intenti sono facili quando non implicano conseguenze, e, per tale motivo, dovrebbe centellinare il loro agire ad una inevitabile condizione, la stessa che permette alla barca e al suo equipaggio di arrivare in porto.
Non vedo saldi natanti in questo momento, e la zattera sulla quale remiamo sembra più aggrappata a una speranza. La fortuna è che il nostro mare somiglia ad uno stagno immoto dove le occasionali onde sono figlie dei sassi lanciati da bambini sulla riva. Se non corriamo pericoli di tempeste o esaustive bonacce, il rischio maggiore è quello di galleggiare senza meta.
E' pensiero autocritico il mio, mentre corriamo dietro alla salute di un caro "albero" che un improvvisa bufera potrebbe anche sradicare un giorno.
Fauglia ha qualche bar, qualche ristorante, pochi negozi essenziali e una dipendenza cronica dalle zone commerciali attigue. Ha scuole che fanno il proprio lavoro ma non riesce a mantenerne l'alimentazione autonomamente. I suoi dintorni producono, in alcuni casi merci di pregio, ma li vive con serafica indifferenza. Gioisce del turismo estivo che non ha importato per suoi meriti specifici. Costruisce parcheggi e installa telecamere. Ignora sorniona tragitti e costruzioni antiche contesi da limiti territoriali privati. Alimenta il fatto che vecchi mestieri tradizionali non siano più fruibili perché sostitutuiti dal progresso della larga distribuzione. Denuncia un immobilità che, paradossalmente, è quasi ristoratrice.
Forse quello stagno immoto, scosso raramente dai sassi gettati dalle sue sponde, non è poi così male. Forse questa quiete è il miglior male del mondo. Forse quell'albero dal nome così caratteristico ne è l'inequivocabile stendardo. E, forse, il richiamo alle sue cure soltanto la volontà che questa tranquillità duri ancora. Per me, nel male che lo afflige e che lo consumerà, il segnale che tutto ha un limite temporale e, che la sua cura abbia buon fine o no, esso diverrà segno di un cambiamento.


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