martedì 23 ottobre 2018

Vivaldi e...., Le Quattro Stagioni

Mentre ascolti il Canone di Pachelbel è normale pensare a Vivaldi: è un po come quelle assonanze che ridondano nella testa quando non focalizzi nessun pensiero e ti lasci trasportatore nella corta vaghezza del nulla. Il giusto accompagnamento per idee senza nessi causali "banging in the head" come dicono gli anglosassoni.
Adesso Ryuichi Sakamoto: monotono, descrittivo di un attimo che si ripete incalzando ogni volta di più. Il suo stile perentorio e facilmente riconoscibile: "Forbidden Colours" ne è lo stendardo.
Chopin è arduo; Nocturne op.9, è un sogno le cui pagine aperte a caso sono la descrizione della nostra vita (non è mia... è di Schopenauer - ma non cita Chopin - ).
Dmitri Shostakovitch è l'inevitabile prevalenza della scuola epocale russa. troppi nomi dovrebbero seguirlo, e in ogni campo. Razionali, lineari, dediti alla bellezza della semplicità. E poi è arrivato Rachmaninoff. Ma lui ha bisogno di un capitolo a parte. Arriva Liszt! Qualcuno disse di Lui fosse nato per condannare le mani dei pianisti ad atroce agonia. Mi fermo con Erik Satie perché finti sospiri esalano dal mio sconsolato animo....



Quale motivo di ciò?

Provate ad immaginare una compagine formata dagli autori sopracitati che dovesse lavorare insieme per comporre un armonia musicale. Il potenziale è enorme, inusitato; ma quale il risultato? Quale accordo scaturirebbe mai da personalità tanto forti da evocare emozioni lancinanti al solo battere le dita sulla tastiera di un percussore di corde?

Qualcuno vuole leggerne metafora?

Diremo così allora. Necessità vuole che nella politica regni mediocrità e sospetto: unici elementi indispensabili per quelle illuminate quanto fatue alleanze produttrici fertili del nostro Stato Sociale.
Non è condanna. Non punto il dito sulle due qualità esposte, anche se sembrano così basse. Sono inevitabili qualora volessimo lavorare d'accordo: mediocre perché necessario del lavoro di squadra; sospettoso perché pronto a valutarne l'immancabile secondo fine.

Paradosso nel paradosso, ciò che alimenta il nostro vivere civile, e lo ordina, non sarà mai in grado di strapparti fuori le viscere di un "re diesis" lasciandoti turbato nella risonanza delle emozioni. Produrrà chilometri di prolissa legenda, estenuante, noiosa quanto ancora necessaria.

Immaginiamo poi cosa dovesse nascere da tale compagine qualora cimentasse nella compsizione, nella pittura.......

Adotto perciò l'unica provocazione accettabile:

- Restituitemi Johan Sebastian Bach! Al potere!

Se morte deve essere che sia mentre l'animo svanisce nell'incomprese emozioni

Condividi con: